Stanley MATTHEWS
L’uomo dalla carriera infinita
“Hai 32 anni ormai: te la senti di giocare un altro paio di stagioni?“: queste furono più o meno le parole con cui Joe Smith, tecnico del Blackpool, si rivolse a Stanley Matthews nel 1947. Non poteva immaginare che l’avrebbero fatto passare ironicamente alla storia per questa frase. La rivolse ad un uomo che sarebbe diventato una leggenda del calcio mondiale, un’istituzione per gli inglesi. Un uomo che in carriera vinse solo una cosa: la FA Cup. E molti, molti anni dopo quella domanda.
Stanley Matthews nasce il primo Febbraio 1915 a Henley, dintorni di Stoke on Trent, Midlands Occidentali, in una cittadina famosa per le sue porcellane, da cui prende il soprannome la squadra di calcio locale:”The Potters”, i vasai.
La sua carriera comincia proprio allo Stoke City, con cui firma il suo primo contratto da professionista, nel 1932, a soli 17 anni. Ci gioca dal 32’ al 47’ entrando subito nel cuore dei tifosi e diventandone poi leggenda.
Mostra da subito grande impegno, caparbietà e spirito di sacrificio, emulo del padre, che credeva fortemente nella preparazione atletica al punto da consentirgli, da pugile dilettante, di incrociare i guantoni in oltre trecento incontri. Raccontava Matthews, che quando il padre si rese conto della sua vocazione per il calcio, gli impose un regime di allenamento ferreo, a cominciare dal mattino, davanti alla finestra spalancata. Forse il segreto della sua longevità atletica è dovuto semplicemente a questo.
Viene convocato presto anche in Nazionale, a diciannove anni, contro il Galles, in un incontro finito sul 4-0 per l’Inghilterra, con il timbro di una sua rete, eppure il Daily Mail lo bolla come incapace a reggere la pressione nelle partite che contano. Tutti possono sbagliare nel valutare un giocatore.
Stanley Matthews, era un formidabile insieme di talento e solidità fisica. Giocava da ala destra, il suo regno, come non se ne sono mai viste in Europa. Muscoli e prestanza fisica, fusi con la classe e la fantasia. Era dotato di un palleggio raffinato, che faceva invidia ai migliori giocatori sudamericani, ed era capace di adattarsi alle evoluzioni del gioco come pochi. Il suo calcio si esaltava nel passaggio illuminante, nella perfezione dell’assist, che diventava un grande patrimonio per i compagni di squadra.
La Seconda Guerra Mondiale gli rubò quella che viene definita l’età della maturità calcistica, quella in cui un giocatore esprime generalmente il suo massimo, ma a Matthews sarebbe restato ancora molto tempo per far vedere di cosa era capace. Prestò servizio nella RAF a Blackpool, una cittadina turistica bagnata dal Mare d’Irlanda e meta preferita dei vacanzieri inglesi di fine Ottocento che volevano scappare dal grigiore delle città industriali inglesi di quel tempo.
A Blackpool c’era una squadra di calcio, senza particolari tradizioni, che militava comunque in First Division. La allenava Joe Smith, tecnico ambizioso e capace che stava costruendo una squadra interessante, in cui Matthews, ormai over trenta, poteva essere la ciliegina sulla torta. Lì avrebbe dovuto chiudere la sua carriera.
“Hai 32 anni, pensi di riuscire a giocare un altro paio di stagioni?” Altro che un paio, altro che chiudere la carriera, Stanley resterà a Bloomfield Road la bellezza di 15 anni, fino al 1961, per un totale di 391 partite e 17 gol, tutti in First Division e scriverà le pagine più belle della storia dei Seasiders.
Che il campionato in Inghilterra sia importante è vero, ma non lo è da meno la Coppa, la FA Cup, il torneo per club più antico del mondo, quello che conta davvero e che ti iscrive nella storia. Ed è qui che il Blackpool ottiene i suoi risultati migliori arrivando per ben tre volte, in sei anni, alla finale di Wembley. Le prime due resta a bocca asciutta, a mani vuote.
Nel 1948 non gli basta andare due volte in vantaggio per aver ragione del Manchester United: i Red Devils si impongono 4-2.
La seconda finale, siamo nel 1951, è il Newcastle a mortificare i sogni di gloria del Blackpool. E arriviamo al fatidico ’53 precisamente al 2 maggio 1953, quando il corso della storia del Blackpool cambia, grazie soprattutto a Matthews che a 38 anni suonati giocò una partita passata alla storia addirittura col suo nome: la “finale di Matthews“.
Fino ad allora la sua bacheca di trofei è vuota, quasi vuota se si vuole considerare il titolo di “Giocatore dell’Anno” assegnato dai giornalisti, nel 1948, alla sua prima edizione, proprio a lui. In verità poco o nulla. Serviva un successo tangibile, sfuggitogli già due volte. La fame di vittoria era davvero tanta!
Il 2 Maggio 1953 i tempi sono finalmente maturi. A Wembley, al terzo tentativo, i ‘Pools’ si trovano di fronte il Bolton Wanderers. Gli annali ricordano che fu la prima partita vista da Elisabetta II in qualità di regina. A Wembley si registra un record mai eguagliato di spettatori, più di centomila persone. E quel ragazzino, bollato come incapace di reggere la pressione nei momenti importanti, se era mai esistito, diventò improvvisamente un mito.
Tutto sembrava andare sulla falsariga delle due precedenti finali perse. Il Bolton passa in vantaggio dopo due minuti, anzi 75 secondi, con Lofthouse, Stan Mortensen (segnatevi il nome) pareggia al 35′. Ma a metà del tempo il Bolton è di nuovo in vantaggio con Langton. Il primo tempo si chiude sul 2-1.
La mazzata sulle aspirazioni del Blackpool arriva al 55’ del secondo tempo con la rete di Bell e qui finisce la finale del Bolton che forse pensava di avere già la coppa in tasca. In quel momento inizia la finale di Matthews. Matthews sembra essere sulle gambe e il pubblico di Wembley comincia ad incitarlo, sempre più forte, sempre più forte, in un crescendo che trasforma lo stadio in un calderone. Stanley si trasforma, non vuole arrendersi, serpentine, dribbling e fughe sulla fascia destra, fino a quando al 68’ prende palla, s’invola sulla destra e calcia l’ennesimo cross in mezzo che trova finalmente la deviazione vincente di Mortensen che segna la sua seconda rete e accorcia sul 3-2. Non è ancora finita.
Migliaia di tifosi hanno occhi solo per quel 38enne che non si regge in piedi, ma che non molla nemmeno per un secondo. A un minuto dalla fine, ancora Mortensen, calcia una splendida punizione e segna la rete del pareggio. E’ tripletta per lui, un altro eroe di quella finale, e rimonta riuscita.
Ora si ricomincia da capo, dai supplementari, alla ricerca delle ultime energie residue per conquistare la coppa. Al primo minuto Matthews scappa di nuovo sulla destra e serve una palla splendida a Perry, che però sbaglia. Passano 60 secondi, Matthews di nuovo si lancia sulla sua fascia, dribbla Banks, arriva sul fondo, ancora cross in mezzo, Mortesen è troppo avanti ma il pallone non è per lui è per Perry che stavolta segna e firma il 4-3 della vittoria. E’ fatta, il Blackpool ha vinto la sua prima FA Cup, la più importante della storia, e Stanley Matthews che ha trascinato la squadra al successo si gode l’abbraccio e il calore di quei centomila che lo portano in trionfo e l’ammirazione di tutta l’Inghilterra.
Tre anni dopo quella splendida finale viene istituito dalla rivista francese France Football il premio “Il Pallone d’Oro” che premia il miglior giocatore del continente. Sono candidati calciatori del calibro di Di Stefano, Puskas, Yashin. E chi vince? Stanley Matthews. Troppo forte ancora l’eco di quell’impresa, indelebili negli occhi le immagini di un ultra-quarantenne che continua a saltare come birilli avversari di 20 anni più giovani. Qualcuno ipotizza che un trofeo così prestigioso fosse stato ideato apposta per lui, forse pensavano a una specie di premio alla carriera, per quell’ultraquarantenne, forse ritennero semplicemente giusto aprire la festa con un campione vero.
Dopo la consegna del premio avrebbe ancora indossato la maglia della Nazionale inglese (ultima partita nel ’57, a 42 anni, ventitré esatti dopo il debutto), per poi proseguire sui grandi palcoscenici del calcio di club fino allo scoccare delle cinquanta primavere.
Chiuderà allo Stoke, da dove aveva cominciato, giocando fino al 1965!
Questa è la storia di sir Stanley Matthews, l’uomo che vinse “solo” una FA Cup. E il primo Pallone d’Oro della storia. A nove anni da quella domanda: “Hai 32 anni ormai: te la senti di giocare un altro paio di stagioni?“