“Vi prego, se è un sogno non svegliatemi” sono state le prime parole che Elia Viviani ha pronunciato nella commozione subito dopo aver realizzato il suo capolavoro.  Lo sport è fatica, sofferenza, sacrificio. La sua medaglia d’oro sapora di tutto questo. Solo lui e chi gli sta accanto sa attraverso quanta sofferenza e quante delusioni è dovuto passare quasto ragazzo di Isola della Scala prima di potersi gustare un trionfo come quello di ieri sera sulla pista di Rio.  Elia Viviani era in credito con l’Omnium, la disciplina più dura del ciclismo su pista.

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Quattro anni fa un caduta ai mondiali di Melbourne gli procurò la scheggiatura del bacino. Di nuovo in sella pochi mesi dopo, ai giochi olimpici di Londra era ad un passo da una medaglia, quando nell’ultima prova si fece prendere dall’ansia e rimase a bocca asciutta giù dal podio. Stessa sorte quest’anno ai mondiali di Londra, quando ancora una volta la corsa a punti gli risultò fatale. Quarto posto e altra delusione cocente

Elia era conscio del proprio valore; era convinto di potercela fare e di realizzare finalmente il suo sogno. Sapeva che sarebbe arrivato il suo giorno. Sapeva anche che sarebbe stato sull’ovale di Rio. O lì o mai più. Non ha mollato, anzi. Ha sacrificato la stagione su strada: il suo ritiro al Giro  ha fatto storcere il naso a qualcuno. Ma concentrarsi sulla pista era l’unico modo per prepararsi all’appuntamento che vale una vita. Ci credeva e si è allenato in maniera maniacale curando ogni minimo dettaglio, seguito dal fido Marco Villa, il suo allenatore.

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Gli avversari erano quelli di sempre: il campione del mondo Gaviria, il campione olimpico in carica Hansen, il tedescone Kluge, e infine il più temibile di tutti, quel Mark Cavendish, con cui c’era un conto aperto dal mondiale di Londra del marzo scorso finito tra le polemiche. Elia ha interpretato la corsa con la consapevolezza di avere tutte le carte in regole per vincerla. In una recente intervista, chiedeva solo una mano alla buona sorte: spero di potermi presentare a Rio in piena salute. Poi me la giocherò”. Quando lo abbiamo visto cadere travolto dal coreano Park a metà dell’ultima prova, abbiamo temuto il peggio e lanciato mille improperi di ogni genere contro la malasorte.  Per fortuna tutto si è risolto per il meglio. Viviani non ha perso la calma, nè tantomeno la fiducia. Ha difeso il vantaggio andando a prendersi i punti negli sprint, marcando il danese Hansen, che astutamente cercava di sorprenderlo con le fughe da lontano, e lottando metro dopo metro, centimetro dopo centimetro  in volata con Cavendish, il più veloce del lotto. Il veronese ha saputo gestire la corsa da campione, dando l’impressione di esserne il padrone. Ha vinto  perché era il più forte. Nello sport a volte succede. Aggiungiamo che dopo tante delusioni, aveva più fame di tutti. Voleva la vittoria: è andato a prendersela.

La sua medaglia d’oro ci riporta ai fasti di un altro nostro illustre conterraneo, Sante Gaiardoni, mattatore alle olimpiadi di Roma del 1960. Il trionfo di Elia Viviani, che ha cominciato a pedalare da ragazzo sul velodromo di Pescantina, dà luce al movimento del ciclismo su pista, parente povero della strada nel nostro paese. All’estero non è così. Ricordiamo che i successi del ciclismo britannico traggono origine proprio dai velodromi (Cavendish e Wiggins ne sono i testimoni più brillanti). Alla luce di questo successo, ci auguriamo che le cose possano cambiare anche da noi. Non vorremmo aspettare quattro anni per parlarne nuovamente.

Elia Viviani a 27 anni ha coronato il sogno di una carriera. Il suo pianto liberatorio ci ha commosso. Ora potrà andare con maggiore convinzione a caccia di vittorie anche su strada, dove siamo certi potrà togliersi nuove soddisfazioni. Da Rio torna un atleta più forte delle avversità, e consapevole del proprio valore. Lo aspettiamo, ma prima permetteteci di dirgli GRAZIE.

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Giornalista pubblicista con una particolare attenzione alle vicende dell’Hellas Verona, squadra che segue da bambino, dopo aver collaborato con la redazione sportiva del giornale L’Arena di Verona , è passato al Corriere di Verona. A Marzo 2015 ha pubblicato il suo primo libro, THOENI vs STENMARK. L’ULTIMA PORTA (Edizioni Mare Verticale), dedicato al leggendario slalom parallelo della Valgardena che assegnò la coppa del mondo di sci del 1975. Alla fine dello stesso anno è tornato in libreria con IL CAMERIERE DI WEMBLEY (Edizioni In Contropiede) il romanzo della prima indimenticabile vittoria della nazionale italiana nel tempio del calcio inglese nel 1973.

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