I capricci della rockstar IBRA

Ho avuto un tipo di educazione piuttosto rigida, o almeno credo. Sin da quando ero piccolo mi è stato insegnato di tenere un profilo basso, a dar voce ai fatti piuttosto che alle parole,  e a lasciare che siano gli altri a riservarti dei complimenti quando combini qualcosa di buono. Non sempre ci sono riuscito, ma confesso di essermi almeno sempre impegnato a farlo.

Viviamo da anni ormai, nell’era della comunicazione. Tutto ruota attorno all’immagine che ognuno di noi riesce a dare di sé e nell’abilità di trasmetterla come percezione all’esterno. Le alchimie del marketing sono prepotentemente entrate nelle nostre vite: scegliamo questo o quel prodotto, non solo in forza di fattori tangibili quali la qualità e il prezzo,  ma anche in virtù delle sensazioni e delle emozioni che esso è in grado di suscitare nella sfera della nostra immaginazione. Debolezze umane. Il calcio non si è sottratto alla regola e si è messo immediatamente al passo con i tempi. David Beckham né è stato un precursore: ottimo giocatore, ma non certamente un fuoriclasse, ha costruito le proprie fortune e rimpinguato il conto in banca grazie alla sua straordinaria capacità di proporsi come un prodotto cool di alta gamma, pur sapendo di non esserlo. Una magia. La sua l’ho sempre vista come la  storia di uno Swarovski esposto però in vetrina con la griffe di Tiffany. Il giochetto ha funzionato. I procuratori, gli spin doctors di questa pazza galassia pallonara, in tutto ciò ci sguazzano e riescono a far guadagnare fior di milioni anche ai loro assistiti meno dotati di talento. Chapeau. Il caso dei quarantamila euro giornalieri che Graziano Pellè andrà a guadagnare in Cina nei prossimi due anni, è lampante.  Mi domando cosa sarebbero disposti a pagare i cinesi per i servigi di un Leo Messi o un Cristiano Ronaldo.
Poi c’è chi palleggia con la comunicazione. Zlatan Ibrahimovic,  un guascone che l’antifona l’ha imparata da un pezzo, è un tipo sveglio che sa bene come funziona il sistema. Il profilo basso non porta a nulla. Meglio infischiarsene e giocare la partita opposta a suon di sparate  e smargiassate in pompa magna.  Lo svedese ha plasmato il proprio personaggio attraverso le prodezze in campo e le roboanti dichiarazioni da rockstar fuori. Tra il luglio del 2012 e l’agosto del 2015 è stato il giocatore complessivamente più pagato nella storia del calciomercato, con un totale di circa 163 milioni di euro suddivisi in sei trasferimenti. Nel congedarsi dal PSG ha detto: “sono venuto come un re, me ne vado da leggenda”.  Per me le leggende del calcio sono altre. Formano una cerchia molto ristretta: mi riferisco a gente come Di Stefano, Pelè, Cruijff, Maradona, e forse pochi altri. Con tutto il rispetto, Ibra non lo annovero certo tra questi. Ha vinto scudetti a ripetizione, ha segnato a raffica, ma non basta per farne un’icona. Non ha mai, non solo alzato, ma nemmeno brillato nella vecchia Coppa dei Campioni, il massimo trofeo continentale. Pur ritenendosi un fuoriclasse assoluto, se non un semidio, non è mai riuscito a traghettare la sua nazionale fuori dalla mediocrità. Sebbene sia stato più volte candidato al FIFA World Player of the Year, al Pallone d’oro, e all’UEFA Best Player in Europe Award, si è aggiudicato solamente il Golden Foot nel 2012 e il FIFA Puskás Award nel 2013. Premi che sanno di consolazione.

Il 3 ottobre il Totem di Malmö compirà 35 anni. Il 1 luglio 2016 è arrivato a costo zero alla corte del Manchester Utd di Josè Mourinho, a firma di un contratto per una singola stagione da ben 15 milioni di euro. Avrà la casacca numero 9, che fu di Sir Bobby Charlton. Mica poco. L’ha strappata al compagno Anthony Martial, giovane stella francese ingaggiata lo scorso anno dal Monaco a peso d’oro, che non ha nascosto un certo disappunto per lo smacco subito.  Dopo aver più volte vinto il campionato in Olanda, Italia, Spagna, e Francia, a  Manchester potrebbe ora mettere in bacheca anche la Premier. Tuttavia sa bene che la gloriosa maglia dello United è l’ultima occasione per provare a vincere finalmente qualcosa e consacrarsi anche in Europa. Poi, per lui si apriranno molto probabilmente le porte (e i dollari) del calcio americano. A Manchester, Ibra si è presentato come un divo in piena regola. In attesa che arrivi da Parigi il suo lussuoso parco macchine, tra cui spicca la Porsche 918 Spyder nella foto, si è messo al volante della fiammeggiante Mercedes S550 che fino a pochi mesi fa era stata di Louis Van Gaal. Vorrete mica dargli una macchina qualsiasi…! In Inghilterra, nel codazzo del suo entourage ha voluto con sè anche Dario Fort, il suo fisioterapista personale che lo segue da anni. Lussi che non tutti si possono permettere. Ma il meglio è arrivato ieri quando Zlatan, la moglie e i due figli hanno lasciato sdegnati a poche ore dal loro arrivo l’Hotel Lowry, albergo di lusso di casa United, per trasferirsi al Radisson Blu Edwardian. Il motivo?  Nel primo non c’è la piscina; nel secondo si. Avete mai visto un re sprovvisto di vasca dove potersi immergere? Una rockstar del calcio moderno è attenta a sottolineare e a non farsi sfuggire certe cose. Il capriccio ha ovviamente fatto notizia  e riempito le pagine di giornali e dei social. Al momento importa questo. Poi verranno anche i gol, la Premier e magari forse anche la Champions. Tuttavia al momento sembrano solo sfumature di secondo piano, che so…dettagli…

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Giornalista pubblicista con una particolare attenzione alle vicende dell’Hellas Verona, squadra che segue da bambino, dopo aver collaborato con la redazione sportiva del giornale L’Arena di Verona , è passato al Corriere di Verona. A Marzo 2015 ha pubblicato il suo primo libro, THOENI vs STENMARK. L’ULTIMA PORTA (Edizioni Mare Verticale), dedicato al leggendario slalom parallelo della Valgardena che assegnò la coppa del mondo di sci del 1975. Alla fine dello stesso anno è tornato in libreria con IL CAMERIERE DI WEMBLEY (Edizioni In Contropiede) il romanzo della prima indimenticabile vittoria della nazionale italiana nel tempio del calcio inglese nel 1973.

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