Parto da un presupposto. Domenica allo stadio mi sono divertito: ho assistito ad una bella partita, dura, maschia, giocata a ritmi alti sotto un cielo grigio: roba da prati di Albione. Lo scrivo compiaciuto, perché in Italia non accade di frequente. Verona-Brescia è stato un match vero, una battaglia ingaggiata sul ring del Bentegodi di fronte a quasi sedicimila persone accorse allo stadio per una gara di serie B a ora di pranzo. Il pallone meglio della lasagnetta fuori porta o della comodità della tivù davanti al divanone di casa: anche questo è qualcosa che stride con la desertificazione in corso sulla maggior parte delle gradinate italiane. Verona, si sa, è un’isola felice dove gli spalti gremiti sono ormai di norma. Niente di nuovo quindi.
Complimenti a Christian Brocchi e al suo Brescia, squadra tosta, di carattere, ben organizzata, che, seppur alle prese con più di una defezione di rilievo, ha tenuto testa al Verona mettendolo in seria difficoltà. Chiamato la scorsa stagione al salvataggio della gloriosa nave Milan, ridotta però dall’usura ad una bagnarola piena di falle, è stato giubilato dall’armatore Berlusconi. Gli auguriamo con affetto di salpare ora dai porti della sana provincia alla volta di maggiori fortune. Se lo merita. L’Hellas, se ce ne fosse stato bisogno, ha dato ennesima prova della sua forza. Le qualità tecniche sono fuori discussione, non le abbiamo certo dovute scoprire domenica. Ma il temperamento con cui ha saputo raddrizzare una giornata che pareva storta, ha impressionato. Nel primo tempo ha preso gol proprio nel momento in cui stava spingendo di più. La serpentina di Romulo conclusa sul palo, non la vedi nemmeno alla playstation. Avesse segnato, avrebbe scomodato fenomeni come Messi e Ronaldo. Il gol era nell’aria: si è purtroppo materializzato nella porta sbagliata. Raggiunto il pareggio con caparbia nella ripresa con Pazzini, è andato subito di nuovo sotto per una scaraffata di Torregrossa. La mazzata avrebbe steso un toro: non questo Verona che ha ripreso a macinare calcio e costruire palle gol a raffica, fino al definitivo pari raggiunto grazie ad un sacrosanto rigore realizzato dal Pazzo. I gialloblù hanno giocato la seconda metà di gara con quattro punte in un inedito 4-2-4 dove tutti attaccavano e tutti davano una mano a difendere. Una volta si chiamava calcio totale. Pecchia non ha avuto le benchè minima esitazione a dare più cavalli alla sua trazione anteriore. Signori, questo è coraggio. Gli ultimi venti minuti sono stati per le rondinelle un supplizio: asserragliati nel fortino, hanno resistito e se la sono cavata. Bravi. Meno bravo Siligardi a sparare addosso a Minelli il matchball fornitogli al bacio da Pazzini a cinque giri di lancetta dal termine. Peccato.
Ai punti la truppa di Pecchia avrebbe vinto e lo avrebbe fatto con merito. Eppure, non va dimenticato che ha pure seriamente rischiato di perderla questa partita. Sarebbe stato profondamente ingiusto. Tuttavia, questo è il calcio. Quando Saturno ruota contro, sono guai. Di solito finisce male. Quindi può andar bene così. Occhio ai numeri: il Verona ha tenuto palla per il 59% contro il 41% degli avversari. Ha tirato in porta 18 volte (8 nello specchio, 10 fuori) contro appena 4 del Brescia. Normalmente cifre come queste, sono l’esegesi di una vittoria. Non Domenica. Saturno se ne infischia delle statistiche. Il calcio non è matematica, ma questo Verona sa essere più forte anche della sfiga. Ci siamo divertiti. Avanti i blu.