Il calcio fiorentino
Florentinum Harpastum
In pieno rinascimento la cultura e la moda italiana si riversano nella società inglese.
Non è improbabile quindi che fossero giunte notizie intorno ad un gioco chiamato “calcio” non lontano dall’indigeno “large football”. Quando per la prima volta, nel 1654, in Hyde Park, alla presenza di Cromwell, gentiluomini della Cornovaglia (quasi un centinaio), disputarono una partita di football dividendo le due squadre con un copricapo di colore diverso (bianco e rosso), non si può che pensare che fossero influenzati e prendessero ad esempio i rituali di eleganza sportiva offerti dal calcio fiorentino.
Quando si parla di antico gioco del calcio è consuetudini aggiungere l’aggettivo “fiorentino”. Fu proprio l’importanza di Firenze nella storia europea di quel periodo a garantirgli fama e diffusione ma non si può però pensare che uno sport così complesso sia nato da un momento all’altro e si sia sviluppato in un unico posto. E’ certo infatti, lo si deduce dai documenti dell’epoca, che era giocato anche in altre parti d’Italia, soprattutto in Veneto tra Padova, Venezia e Treviso, come il “Trattato del giuoco della palla” di Antonio Scaino, stampato nel 1555, dimostra, dove dichiara “che esso si gioca all’arena di Padova”. Forse arriva proprio da lì la tradizione rugbistica di quell’area.
Il luogo principe resta comunque Firenze che fin dal XIII secolo aveva portato i suoi mercanti, i suoi uomini d’affari per tutta l’Europa. I Bardi, i Peruzzi, gli Strozzi, i Pitti, i Medici, le cui entrate raggiungevano cifre che nemmeno la grande Inghilterra dell’età dell’oro di Elisabetta poteva avvicinare. Era quella Firenze che aveva messo alcuni suoi pupilli sul trono pontificio, che assediata da ogni parte e dove Macchiavelli e Michelangeo si davano da fare attorno alle opere di difesa, che trovava il tempo per organizzare il 17 febbraio 1530 una partita di calcio in Santa Croce alla presenza di tutte le magistrature di quella repubblica che non sarebbe resistita per molto e mettendo per dileggio degli assedianti trombe e tamburi sul comignolo di una chiesa tanto da indurli a sparare una cannonata. Fu in quel clima che probabilmente il gioco da popolare assunse un carattere aristocratico anche per il lustro che alla sua pratica diedero personaggi come Lorenzo il Magnifico o Cosimo I e II de Medici o i futuri papi Clemente VII (Giulio de Medici) o Leone XI (Alessandro de Medici) o Urbano VIII (Maffeo Barberini).
Quel calcio era chiamato “calcio in livrea” per le sgargianti divise che indossavano i contendenti e dava luogo a incontri ufficiali nelle grandi ricorrenze tra i partiti dei verdi e dei bianchi, rispettivamente della riva sinistra e destra dell’Arno.
Le squadre erano composte da ventisette giocatori ognuna. In prima linea si schieravano i quindici “innanzi” che secondo la descrizione dell’epoca “corrono con la palla e devono essere giovani, veloci e molto animosi”, poi i cinque “sconciatori” che “trattengono i detti innanzi quando la palla accompagnano” e dallo sconcio che danno loro sono così detti: ”gagliardi uomini e grandi e fieri e nerboruti e di molto sapore”; in terza fila i quattro “datori innanzi” che “danno gagliardi e dritti colpi alla palla” , infine i tre “datori addietro”, che “dietro a quelli stanno alla riscossa” e per il ruolo devono essere “i più veloci corridori, di alto coraggio e di gran colpo”. Così erano descritti i diversi ruoli del gioco. Il campo di gioco per eccellenza era Piazza Santa Croce ed il partito che vinceva si appropriava delle insegne avversarie.
Verso il 1600 si giocava anche nella vicina Prato come testimonia lo scienziato dell’epoca Francesco Redi “ma se nel giuoco di Firenze si usano piccoli palloncini, e si percuotono col pugno armato di solo guanto, in Prato si adoperano di que’ pallon grossi, co’ quali si suol giuocare il giuoco del pallon grosso (giuoco noto in Francia) ed in questo giuoco del calcio de’ pratesi, non si dà al pallone col pugno, ma sempre col calcio: anzi rarissime son quelle volte che se gli dà col pugno; perché il pugno nudo, o armato d’un semplice guanto, non avrebbe forza sufficiente a poter battere e spigner lontano quel così grosso pallone”.
C’è però un particolare che di sicuro salta agli occhi dei lettori di questi articoli sugli antenati del calcio ovvero che di tutta la rassegna di giochi descritti manca sempre quell’indicazione che fa del calcio un gioco a sé stante, ben diverso da tutti gli altri sport di squadra con la palla, ovvero la proibizione della carica sull’uomo e dell’uso delle mani. Senza queste norme fondamentali si era di sicuro più vicini all’attuale rugby piuttosto che al calcio.
Tipologia di palla utilizzata
Palla ricavate da vesciche di maiale che venivano gonfiate.