Victor Hugo Sotomayor

Dici “Sotomayor” ed il mondo intero pensa al saltatore cubano, il più grande di tutti i tempi, ancora detentore del record mondiale della specialità. In tutto il mondo, ma non a Verona. Nella città veneta  Sotomayor evoca brutti ricordi. Stiamo parlando di Victor Hugo, difensore arrivato in città nella stagione 1989/90, quello legato alla retrocessione in cadetteria degli scaligeri.  Un campionato non certo da tramandare ai posteri, quello del lungo difensore centrale, nonostante il gol che, alla penultima di campionato, mise ko al “Bentegodi” il Milan di Sacchi strappando ai rossoneri uno scudetto che sembrava già vinto ed alimentando speranze di salvezza, poi smaterializzatesi nella sconfitta di Cesena nel turno di chiusura. Hugo era un imberbe giovanotto, sconosciuto ai più, tanto che si malignava fosse arrivato a Verona per le difficoltà economiche del padre, in affari con l’allora direttore sportivo Polato. Fisico imponente, nella prima stagione pagò la sua inesperienza a livelli così alti, dimostrando però di poter diventare in prospettiva un buon calciatore. E così avvenne nella stagione successiva quando, anziché abbandonare la nave, contribuì con orgoglio alla pronta risalita nella massima serie. Lo fece da protagonista; impeccabile di testa grazie alla sua imponente struttura fisica si dimostrà bravo anche in fase di rilancio. In quella cavalcata esaltante ci furono 26 presenze e 2 reti.  Al termine di quella stagione alla sua porta bussò lo Zurigo, con una offerta irrinunciabile, ma le cose non andarono bene, complici numerosi problemi fisici. Il suo ruolino “svizzero” parla di appena 10 presenze, corredate da due reti, le ultime della sua lunga carriera. Pensate infatti che nelle 220 partite successive, in patria con il Velez Sarsfield allenato da Carlos Bianchi prima, visto a queste latitudini sulla panchina della Roma, e con il Talleres di Cordoba, la squadra della sua città, poi, la porta avversaria è rimasta un pio desiderio. In Argentina “Soto” vinse tutto con il Velez, una autentica macchina da guerra: quattro campionati, una Coppa Libertadores, una Interamericana ed una Intercontinentale, quando incrociò in finale, battendolo nuovamente, il Milan non più allenato da Arrigo Sacchi ma dal futuro “Don Fabio” Capello. Curriculum di assoluto prestigio che gli valse anche la convocazione con l’“Albiceleste”, nella quale peraltro vanta un’unica presenza.

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