Nel giorno del trentanovesimo anniversario della leggendaria partita di Highbury, che consegnò i Leoni di Vittorio Pozzo alla mitologia del calcio, Inghilterra e Italia s’incontrano per la decima volta, la seconda a Wembley. Non è una partita come le altre quella del 14 novembre 1973. In quarant’anni di sfide gli azzurri non sono mai riusciti a violare l’erba imperiale di Sua Maestà. Cinque mesi prima, nell’incontro amichevole allo stadio Comunale di Torino, sono finalmente riusciti a togliersi un tabù e batterli per la prima volta. Ora non resta che espugnare la roccaforte: il compito più difficile. Gli inglesi sono in evidente declino: i fasti del mondiale di casa del 1966 sono ormai lontani, e mai come questa volta l’impresa sembra essere alla portata della squadra italiana. Il saggio Valcareggi si affida all’ossatura della vecchia guardia “Messicana” corroborata da qualche nuovo inserimento che il campionato ha messo in mostra.
La vigilia è condita da toni acidi: a Wembley sono attesi trentamila tifosi italiani, prevalentemente nostri connazionali che lavorano nel Regno Unito. La stampa inglese infiamma la tranquilla vigilia non rinunciando a battute al vetriolo: scrivono che A WEMBLEY SONO ATTESI TRENTAMILA CAMERIERI. La partita rispecchia in pieno i due stili d’interpretare il gioco del calcio, espressioni delle culture dei due paesi. Inglesi all’assalto, ma monocordi e del tutto privi di lampi creativi. Italiani arroccati in difesa, pronti a sfruttare l’occasione buona con il cinico contropiede. Si gioca sotto una fitta pioggerella tipicamente britannica che rende il tappeto verde di Wembley umido e scivoloso: fosse asciutto non avrebbe lo stesso fascino. La squadra italiana fatica ad uscire dal guscio sotto la pressione dei padroni di casa che spingono come forsennati, tuttavia regge anche grazie ad una grande prestazione dei nostri difensori e ad alcuni interventi prodigiosi di Dino Zoff. A centrocampo Gianni Rivera è il perfetto interprete del genio italico: finte, controfinte, passaggi illuminanti per le due punte Riva e Chinaglia. Quest’ultimo, ferito nell’orgoglio, ci dà dentro come un matto galoppando ovunque ci sia un pallone da giocare. A quattro minuti dal termine, Fabio Capello, che dell’Inghilterra diventerà allenatore, scrive la storia, finalizzando una classica azione di contropiede, partita da un affondo sulla fascia destra di Giorgione.
Il boccone servito in campo dalla servitù in maglia azzurra è per i commensali di casa molto amaro. Al fischio finale i trentamila italiani sugli spalti si godono il gol di Fabio Capello e la vittoria degli azzurri. In mezzo ai tifosi sono presenti anche il padre e il nonno di Lorenzo Fabiano, allora un ragazzino. Il cameriere di Wembley è proprio il nonno dell’autore: Aldo Vignola, un lord di provincia con il mito del made in England, non aveva messo mai piede in Inghilterra prima di quel momento. Quello fu il suo battesimo di fuoco e non poteva scegliere occasione migliore. Il libro, che ripercorre tutte le sfide tra Inghilterra e Italia degli ultimi ottanta anni, ha in chiusura interviste a Dino Zoff e Furio Valcareggi, figlio del mitico Ferruccio.
Prefazione di Roberto Beccantini. (IL CAMERIERE DI WEMBLEY, Edizioni Incontropiede)