L’Hellas ritrova la sua casa. Lo era stata dal 1979 al 2009 per tre decenni. Lì abbiamo visto allenarsi fior di campioni che hanno scritto la storia del club; lì sotto i bronci e i sospiri dell’Osvaldo abbiamo assistito alla costruzione di qualcosa di grande diventato mito; lì abbiamo respirato l’aria fresca dell’Europa; lì è pure sfilata una serie cospicua, e quasi comica, di bidoni inenarrabili; lì stavano parcheggiate le fiammeggianti Mercedes degli yupponi della Invest con le loro borse cariche di “pagherò” e bigliettoni buoni manco per il Monopoli. E via così, tra alti (non molti) e bassi (tanti). Luci e ombre, gioie e dolori, giorni belli e giorni brutti, nuvole e sereno, come si conviene a una buona famiglia tra le mura domestiche. Di tutto e di più, com’è nelle corde della vita. Quante ne abbiamo viste e vissute su quel campo, dedicato a una bandiera come Guido Tavellin, che ha unito generazioni.

L’antistadio era la casa di tutti, vecchi e giovani, studenti, lavoratori, pensionati, ricchi e poveri accomunati da un’unica passione: il battito del cuore gialloblù. Un giro lì a vedere che aria buttava all’allenamento, non te lo negavi mai. Era una sorta di rito, una regola nel codice deontologico del buon tifoso. Oggi ti chiedono tessera, carta d’identità, e codice fiscale: vivere il mondo del pallone è più difficile che avere un visto per la Corea del Nord.  Allora, quando alla passione era riconosciuto qualcosa di più che un codice cliente Sky,  per meritarsi i galloni, oltre all’abbonamento e la partecipazione alle trasferte, era buona abitudine assistere agli allenamenti. Trovavi sempre qualcuno con cui scambiare due parole: ti piazzavi dietro alla porta ad ammirare le punizioni calciate da piedi di velluto, ma pure a inorridire davanti a quelli di marmo. Poco importa. Era l’occasione per avere un contatto diretto con coloro che erano i tuoi idoli. L’antistadio per anni è stato un simbolo di appartenenza e identità, la casa del popolo gialloblù. Tutto cìò è durato fino al 2009 quando la buonanima del presidente Martinelli portò la squadra ad allenarsi sui suoi terreni di Sandrà. Poi è arrivata la volta di Peschiera. Centri sportivi moderni, più adeguati forse alle esigenze di un sistema che nel frattempo è cambiato, ma desolatamente asettici nel loro essere così lontani dal cuore della gente.

In tutti questi anni l’antistadio se n’è rimasto al suo posto in silenzio, come un vecchio messo da parte, ma che in cuor suo sa di poter dare ancora qualcosa di buono. In nome di un glorioso passato, ha fatto da monito a un presente avaro di sentimento e romanticismo, che il calcio è cuore, il calcio è passione, il calcio è calore, e contatto. Alla fine ha funzionato. Non siamo mai stati teneri con Maurizio Setti, reo, a nostro modo di vedere, di porsi in modo troppo freddo, distaccato, diciamo pure latitante, nei rapporti con una tifoseria che chiede l’esatto contrario. Forse era anche affiancato fino a poco tempo fa da qualche cattivo consigliere; le cronache che arrivano in questi giorni da Milano sembrano confermare questo sospetto. Lasciamo perdere. Acqua passata, non facciamoci il sangue cattivo. Guardiamo invece al presente. Il presidente (ci ha messo un po’) ci pare stia ora finalmente comprendendo cosa sia Verona, cosa sia il Verona. Lo dimostrano le sue parole oggi ai microfoni di Sky: “Allenarsi qui è bello, l’avevamo promesso, è un riconoscimento alla città e ai tifosi, ce l’hanno chiesto tanto e ci siamo sentiti di farlo. Stiamo mettendo a posto questo impianto e sarebbe meraviglioso poterlo sfruttare di più. I tifosi sono venuti numerosi anche oggi, non ci hanno mai abbandonato, ci sono sempre stati vicino. Credo che questa piazza abbia dei sostenitori che poche altre squadre possono permettersi di avere, ne siamo molto contenti.”

Stamattina dopo sette lunghi anni l’antistadio, rimesso in sesto e riammodernato con un investimento da parte della società di 230.000 euro, ha riaperto i battenti e ospitato l’allenamento di Pecchia e i suoi ragazzi attorniati dall’affetto di 500 persone, nonostante la mattinata festiva stimolasse magari una gitarella sul lago lontano dalle nebbie. Sembrava di essere tornati ai vecchi tempi. Tutto vero: l’Hellas è di nuovo a casa. Ne siamo davvero felici. Per una volta ha vinto il cuore. D’altronde a Verona batte forte…

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Giornalista pubblicista con una particolare attenzione alle vicende dell’Hellas Verona, squadra che segue da bambino, dopo aver collaborato con la redazione sportiva del giornale L’Arena di Verona , è passato al Corriere di Verona. A Marzo 2015 ha pubblicato il suo primo libro, THOENI vs STENMARK. L’ULTIMA PORTA (Edizioni Mare Verticale), dedicato al leggendario slalom parallelo della Valgardena che assegnò la coppa del mondo di sci del 1975. Alla fine dello stesso anno è tornato in libreria con IL CAMERIERE DI WEMBLEY (Edizioni In Contropiede) il romanzo della prima indimenticabile vittoria della nazionale italiana nel tempio del calcio inglese nel 1973.

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